Elettra: la ferita del padre

“Il complesso di Elettra si sviluppa analogamente al complesso di Edipo, è stato coniato da C.G. Jung, per definire l’amore che la bambina prova verso suo padre accompagnato da sentimenti di gelosia e di rivalità verso la madre.
Elettra non è un semplice Edipo femminile.
La situazione vissuta dalle bambine è più complessa rispetto a quella dei maschi. Anche per le femmine la madre è il primo oggetto d’amore e nel corso dello sviluppo devono cambiare il target delle loro attenzioni.
Elettra, nel mito, viene cacciata dalla reggia e costretta dalla madre a giacere con un uomo che dovrebbe rappresentare un sostituto dell’amore materno. Il suo odio nasce quindi dalla ferita narcisistica nata dal rifiuto materno.
Come avviene quindi questo spostamento verso il padre?

Il “complesso di Elettra” è una fase in cui la bambina, pur legata ancora alla madre, orienta la sua attrazione verso la figura paterna (in termini tecnici si parla di “inconscio desiderio di avere un figlio dal padre).

E’ in questo momento che nascono per la bambina sensi di colpa legati al desiderio di avere il padre tutto per sé e alla conseguente necessità di prendere le distanze (separarsi) da una madre dalla quale ancora dipende.
Una funzione fondamentale del padre è sostenere la figlia nel passaggio dal mondo protettivo materno e familiare ai conflitti e alle difficoltà del mondo esterno.
E’ importante che il padre accolga con affetto e comprensione le richieste di esclusività della figlia: dall’incontro fatto di rispetto, di aspetti ludici, di tenerezza, nasce nella bambina l’idea che il padre sia una specie di principe azzurro, una figura idealizzata, un eroe buono, dal quale rifugiarsi in cerca di una guida. Autostima, rispetto per se stessa, senso di sé e dei propri valori sono condizionati, per la figlia, proprio dalla natura di questo incontro con il primo uomo importante nella vita.
La “diversità” (fisica, caratteriale, di ruolo) del padre rispetto alla madre e alla figlia stessa, le restituisce profondamente il senso dell’unicità e dell’individualità.
Può succedere invece che il padre non accolga empaticamente questo concentrarsi dell’attenzione della bambina su di lui: l’amore della figlia lo gratifica perché gli garantisce il potere su di lei, ma non è in grado di comprendere i suoi reali bisogni né quella necessità di vivere l’esclusività del rapporto.
Minimizzare o addirittura fare finta che non esistano tali bisogni induce la bambina a sentirsi rifiutata e sminuita proprio come persona.
Frustrata da questa ferita, la figlia torna a rifugiarsi nel rapporto con la mamma, ma in questa fase può maturare un processo di svalutazione del modello materno che in alcune si tramuterà in un rifiuto della propria femminilità e in una continua ricerca della stima e dell’apprezzamento da parte del padre.
E allora queste donne cercheranno di identificarsi con lui, di adottare i suoi stessi comportamenti e i suoi stessi valori: un progetto faticoso e difficile, che costringe alla rinuncia di aspetti autentici della propria femminilità, che svaluta la persona e trascina con sé vissuti di profonda inadeguatezza.
Una figlia ferita dal suo rapporto col padre potrà tendere a ricercare “surrogati” paterni.
Il padre è la prima figura maschile nella vita della bimba e la modalità di interazione con questa figura influenzerà inevitabilmente il suo modo di mettersi in relazione con gli uomini da adulta.
Molte donne rimuovono il dolore lasciato dalla ferita paterna.
Sono donne rabbiose ma la loro non è rabbia costruttiva, che va fino in fondo, quanto piuttosto un’implosione che immobilizza il loro vero essere e la loro creatività.
Molte donne hanno paura di esprimere rabbia in maniera sana, lo giudicano pericoloso e l’emozione si sposta su altre valvole di sfogo, per esempio sul corpo: mangiare eccessivamente, ricorrenti mal di testa o di schiena, costante sensazione di stanchezza.
Si può vivere la rabbia anche ricercando continuamente la seduzione dell’uomo, oppure provocando l’ira altrui, facendo in modo che sia l’altra persona a manifestare la rabbia al nostro posto.
Un rigido senso del dovere sul lavoro o nelle faccende domestiche, o un costante atteggiamento vittimista, da martire, possono nascondere una rabbia furiosa.
Molte donne si mostrano amabili verso gli altri, dedicano intere giornate alla cura del prossimo, annullando i propri impegni, modificando orari e comprimendo sistematicamente ai propri bisogni.
Sono donne che ad un certo punto si consumano, perdono vigore e, rinunciando ad un contatto profondo con sé, vivono come se fossero sedate.
Se il rapporto con il proprio padre è stato caratterizzato da un forte risentimento, è facile che questo si manifesti anche con il proprio partner.
Ci sono donne che criticano e sviliscono il proprio compagno aprioristicamente, annientando qualsiasi forma di vicinanza con lui: sono donne stordite dal senso di delusione ed abbandono della figura paterna, inconsapevoli della propria rabbia, che inibiscono tenerezza e attitudine all’intimità.
Imparare ad entrare in contatto con la propria rabbia e riconoscerla, potrebbe aiutare queste donne ad accettarle proprie emozioni, anche le più forti, la propria emotività e anche ad esprimere più liberamente la propria sessualità.
E’ importante prendere energia dalla propria ira, accostarsi al suo lato meno distruttivo per non rimanerne dominate: ci vuole molta pazienza e soprattutto aspettare che i tempi siano maturi.
E’ fondamentale imparare a distinguere l’antica rabbia derivante dal rapporto con il proprio padre dall’ira del momento, collegata a situazioni contingenti.
La figlia ferita potrebbe avere l’opportunità di liberare e trasformare la propria rabbia, accogliere la propria creatività, ponendo finalmente fine a quei rancori con il padre e, perché no, provare a investire su un rapporto d’amore basato sul rispetto e sulla fiducia reciproca.”

– Mariacandida Mazzilli, psicologa, psicoterapeuta –